Lettere all’Italia: i pensieri dei giovani migranti
Ci sono parole che non ti aspetti. Eccole qui. Le lettere all’Italia di quei piccoli uomini partiti dal loro Paese e giunti nella nostra terra, giovani migranti che oggi crescono in quelle che noi chiamiamo centri di accoglienza e che loro chiamano semplicemente casa. Eccole qui. Eccole, le loro parole, a raccontare improvvisamente il mondo che si ferma, la porta che si chiude, lo sguardo fermo su notizie ogni giorno più insopportabili. E li trovi lì ad assistere come noi e con noi alla storia di un virus che mette in ginocchio il mondo intero, che abbatte schemi e confini, che si sposta minaccioso tra latitudini e longitudini, seminando paura e sofferenza. Loro… questi piccoli uomini, che hanno vissuto a soli quattordici.. quindici.. anni il distacco dalla loro terra, dalla loro famiglia, che oggi provano a costruire un futuro, a riempirlo di libri e quaderni, di amici e risate, di calci ad un pallone…Loro… questi piccoli uomini, oggi, davanti alla pandemia.. scrivono. Scrivono usando quella lingua italiana che hanno imparato sui banchi delle nostre scuole. Poche righe per spiegare la nuova quotidianità, quella dell’#IORESTOACASA, per seguire la scia di ottimismo che colora l’Italia, per sentirsi parte della comunità, condividendo regole e speranze. Amadou abita ad Atena Lucana. È all’Italia che scrive perché è qui che vede il sole sorgere al mattino, è qui che ha incontrato italiani ed italiane che gli hanno dato forza ed opportunità. “ Ci dobbiamo credere. Non è il momento di mollare”. Lui abituato a giocare anche a calcio sa che si corre sempre fino all’ultimo secondo del recupero. Non ci si ferma. Mai. Lui che è uno di quelli che ha attraversato il deserto e il mare, ha qualcosa dentro che gli fa dire “Non ti lasceremo cadere perché sei tu che salvi le vite in mezzo al mare” . E poi c’è Ousman. La sua “ casa” è a Padula. “Caro Diario….voglio parlarti di questo periodo. C’è un virus partito dalla Cina che si è esteso a tutto il mondo. Molte persone in Italia si sono ammalate e la situazione sembra essere molto grave. Credo che le medicine ci possono aiutare ma dobbiamo pregare sempre Dio”. Anche Hassan vive a Padula. Sa che il coronavirus è un nemico che attacca le vie respiratorie. «Non possiamo uscire e dobbiamo stare attenti alle norme igieniche, ci laviamo spesso le mani e puliamo con i disinfettanti». Racconta la sua quarantena «Il tempo sembra non passare mai, cerco di distrarmi, guardando la tv, giocando con il telefono, pulendo o leggendo». Sa che ci sono delle regole da rispettare. E conclude «Spero quindi che tutto il mondo rispetti le norme. È importante per la nostra salute e quella delle persone a noi vicine». Ali abita a Sassano. Con carta e penna racconta la sua angoscia davanti alla furia di un virus «che colpisce tutti senza distinzione di età». E lo immaginiamo con il cellulare tra le mani a far scorrere il suo sguardo sulle storie di chi ha combattuto e vinto il virus, di chi non ce l’ha fatta…i paesi schiacciati dal silenzio, l’incessante fatica dei camici bianchi, le note che da nord a sud risuonano dai balconi, le preghiere rivolte al cielo e le fiabe raccontate ai bambini. Questa Italia affaticata e fragile che nessuno mai aveva visto così. «Questo Paese – ha detto Ali – mi ha regalato la speranza di un futuro migliore e questo brutto virus sta cercando di distruggerla. Spero che presto finirà tutto e potrò tornare insieme a chi mi sta aiutando a vivere la libertà». Aphane aveva 13 anni quando è arrivato in Italia. Anche lui minore non accompagnato. Ora non può uscire e non può andare a scuola. «Non solo io ma tutta L’Italia ma è la vita e lo sappiamo tutti che a volte nella vita ci sono e ci saranno cose belle e cose brutte. Chiedo agli italiani di non mollare». Queste sono le voci di Ali, Ousman, Amadou, Aphane, Hassan, Abduellah, alcuni dei minori stranieri non accompagnati accolti nell’ambito del progetto Siproimi a Padula, Atena Lucana, Polla, Sassano e Montesano sulla Marcellana. Queste sono le loro lettere all’Italia. A tutta l’Italia. E questa è la voce di Alladin. Lui in Italia ci è arrivato con la sua famiglia. Non è un ragazzo. È un uomo. Dietro si è lasciato macerie e bombe. E questo è ciò che scrive: “ L’Italia ci ha dato tante cose. I miei ringraziamenti vanno all’Italia e agli italiani per l’aiuto dato a me e alla mia famiglia. Aiutatemi ad unirmi in una delle squadre di volontari per aiutare le persone in Italia”.
Vallo di Diano. Salerno. Italia.
30 Marzo 2020
Di Stefania Marino